"Io anelo alla mia terra, nella cui polvere si sono consunte le membra e le ossa dei miei. Ricordo la Sicilia, e il ricordo viene dal dolore che mi travaglia. Ma se fui bandito da un paradiso come posso io darne informazioni"

giovedì 14 gennaio 2010

Lo stesso discorso, da sempre.

Un paio di sere fa Serena Dandini mostrava nella sua trasmissione un vecchio filmato (minuto 25, per chi volesse) custodito nelle teche della Rai con Beniamino Placido, nel quale il giornalista (di cui tanto ho sentito parlare in questi giorni, quanto lo disconoscevo quando era in vita) riprendeva un anedotto semplice ma quanto mai efficace raccontato da Tolstoj, la storia di una contessa russa che va a teatro con la sua carrozza, in una gelida notte invernale, per vedere "La capanna dello Zio Tom", e si commuove, sinceramente, nel vedere come laggiù, in una terra lontana, quei poveri "negri", o neri, che dir si voglia, soffrano vivendo in situazioni assurde, mentre il suo cocchiere l'aspetta fuori dal teatro letteralmente morendo di freddo.
E mi viene cosi da pensare alla rincorsa alla solidarietà, agli appelli accorati per le raccolte fondi per quello che di terribile è successo ad Haiti, alla commozione corale con cui parteciperemo a questo lutto e parallelamente ripenso a tutti i distinguo, alle prese di posizione, alle parole sprezzanti con cui si sono accompagnate le immagini della cacciata da Rosarno degli immigrati.
Come se non si trattasse della stessa sofferenza, come se fossero eventi incorrelati, come se non ci trovassimo dinnanzi ai segni lampanti di un mondo spesso trascurato che bussa alle nostre porte chiedendoci il conto.
E' lo stesso discorso, da sempre, però a quanto pare, è necessario ribadirlo costantemente.

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