Il problema è il precariato
la Repubblica, venerdì 31 ottobre 2008
Bisogna dare atto al ministro Gelmini di essere riuscita in due imprese molto difficili. Da una parte, con la sua legge sulla scuola, è riuscita a mettere d´accordo madri e figli, studenti e insegnanti, ricomponendo quella frattura intergenerazionale che da tempo blocca il nostro paese. Dall´altra, con la sua non-legge sull´università, il suo subire passivamente le scelte fatte dal ministro dell´Economia, è riuscita a rivitalizzare le rappresentanze studentesche. Abbiamo così oggi un attore in più, che può scompaginare quell´equilibrio di veti incrociati e di ricatti reciproci che sin qui ha bloccato qualsiasi riforma dell´università in Italia. Ieri in piazza c´erano studenti medi e insegnanti nello stesso corteo, madri e figlie unite nella lotta. L´obiettivo dichiarato era il ministro Gelmini e la sua legge. Ma forse il vero nemico era un altro: il precariato. Le madri insegnanti precarie guardano con legittima preoccupazione ai tagli del personale, che si concentreranno pressoché interamente su di loro, dato che gli insegnanti con contratti a tempo indeterminato non sono licenziabili. Ci saranno, come recita la legge, 87.000 posti in meno nell´arco di tre anni, di cui 42.000 già nel 2009. Vittime designate la componente più giovane del corpo docente: l´età media degli insegnanti precari è di 37-38 anni, quella degli insegnanti con contratti permanenti è vicina ai 50 anni. Molti insegnanti precari hanno figli nella scuola secondaria che guardano con altrettanto legittima preoccupazione al loro futuro ingresso nel mercato del lavoro. Li aspetta un mondo del lavoro che oggi riserva per loro quasi solo contratti con una data di scadenza, come i beni deperibili che si acquistano sugli scaffali dei supermarket. Come prova l´esperienza degli insegnanti precari, non è un bel modo di cominciare la propria carriera. Saranno i primi a doversene andare, indipendentemente dalle loro competenze, dai loro meriti e dalla loro performance, in caso di esuberi. Nei giorni precedenti erano stati gli studenti universitari a occupare il centro della scena. Manifestazioni di piazza, occupazioni e lezioni in piazza. Contro i tagli indiscriminati all´università contemplati dalla Legge finanziaria. Dobbiamo tornare molto indietro negli anni per vedere tanta attenzione degli studenti al futuro della loro università. È un fatto nuovo e importante. Per decenni l´università italiana è rimasta bloccata da guerre feudali, da giochi di potere che si ripropongono all´interno degli stessi partiti. Le politiche dell´università in entrambi gli schieramenti sono dominati dalle baronie universitarie, di destra e di sinistra. Per questo non si riesce mai a varare una seria riforma dell´università. Per questo sin qui il ministro Gelmini ha delegato al ministro Tremonti la politica universitaria, dopo aver più volte annunciato, e più volte rimandato, una sua proposta di riforma. Speriamo di sbagliarci, ma quando questa proposta verrà finalmente resa pubblica, si rivelerà una volta di più una non-riforma. Gli studenti possono oggi essere il soggetto nuovo, l´attore che scompagina le carte, che rompe gli equilibri.
Perché ciò avvenga ci vuole però un salto di qualità. Sin qui la ricomposizione generazionale e la partecipazione studentesca sono stati soprattutto all´insegna dei no. Importante che ora si traducano in proposte concrete, che non finiscano per fare il gioco di chi si erge a difesa dello status quo. Il movimento degli studenti può oggi avere un ruolo cruciale nel cambiare le regole di ingresso nel mercato del lavoro per tutti, a partire dagli stessi insegnanti. Bisogna rimuovere quelle barriere che oggi separano il mercato del lavoro di serie A da quello di serie B. Tutti devono poter entrare con le stesse regole, permettendo ai loro datori di lavoro, privati o pubblici, di valutare il loro rendimento nei primi tre anni, con tutele contro il rischio di licenziamento crescenti nel tempo.
Gli studenti, soprattutto quelli universitari, hanno in questi giorni più volte sottolineato che badano alla qualità, più che alla quantità dell´istruzione. Hanno un modo per dimostrarlo. Chiedano che la valutazione della ricerca universitaria svolta sin qui (dal Civr) divenga da subito la base per concedere una fetta consistente dei finanziamenti all´università. Chiedano nuove valutazioni della didattica e della ricerca, senza aspettare la costituzione di fantomatiche nuove agenzie per la valutazione, create solo per prendere tempo, per rinviare l´introduzione di criteri di merito nell´università. Chiedano che venga potenziato il Consiglio europeo delle ricerche ponendolo in condizione di selezionare, finanziare e incentivare progetti di ricerca che soddisfino parametri di eccellenza a livello internazionale. Si battano nei loro atenei perché i margini di autonomia oggi concessi dalla legge vengano utilizzati per premiare la ricerca nel ripartire i fondi come gli oneri didattici. Denuncino gli episodi di nepotismo e chiedano ai loro atenei di formulare piani della ricerca su cui dovranno impegnarsi. Migliorando la ricerca migliorerà anche la didattica.
Tito Boeri
1 commento:
D'accordo.
E soprattutto mettiamo dei controlli in queste università. Perchè troppa gente, che oggi protesta, sa di avere un lavoro privilegiato, dotato di una flessibilità che non spetta neanche ai dirigenti che operano nel privato. A parte questo, credo che il precariato possa essere accettato e diventare sinonimo di flessibilità solo laddove l'offerta di lavoro sia contestuale. All'estero precariato è sinonimo di libertà, soprattutto nell'ambito della ricerca, mentre in Italia è sinonimo di PAURA.
Posta un commento