Un'interessante riflessione sulla latitanza dei mafiosi dopo la scoperta dei vari covi dei Lo Piccolo.
"A due passi avevano la Sisa.[.... ] Chissà se padre e figlio avranno mai approfittato di un 3x2 sui pelati o sui pacchi di pasta. Il fatto che la villa che ospitò per tre lunghi anni la latitanza di due dei più pericolosi “wanted” d’Italia si trovasse di fronte uno dei punti vendita del “re dei supermercati” siciliani, in grado di potere permettersi la pubblicità su tutti i campi di serie A, è probabilmente solo un caso.
Su questo e altro magistratura ed inquirenti dovranno fare piena luce. A cominciare dal ruolo dei proprietari della casa che offrirono accoglienza al boss di Cosa Nostra. Sapevano e dopo qualche tentennamento hanno ceduto. Non potevano non sapere. Non potevano fingere di non sapere. E anche con tutta l’ingenuità e la buona fede possibile non potevano non accorgersi che c’era qualcosa che non andava in quel nucleo familiare che raramente usciva di casa. Con il genitore che vestiva abiti modesti e con il figlio con il bomber ultima moda e un rolex da 35.000 euro al polso. Eppure, dare la disponibilità di un’intera casa a chicchessia non dovrebbe essere così semplice. Dovrebbe quantomeno esistere una regolamentazione. Ed infatti esiste, o esisteva.
Come l’articolo 12 del D.L.59/78 convertito in legge n.191/78 (la c.d. “comunicazione antiterrorismo”, guardate un po’ l’anno di riferimento e capirete il motivo) che impone a chiunque ceda la proprietà o consente a qualunque altro titolo l’uso di un fabbricato di darne comunicazione all’Autorità di P.S. Obbligo venuto meno con la Finanziaria 2005 che permette adesso la semplice comunicazione all’Agenzia delle Entrate.
Questa legge fu fatta durante gli anni di piombo. Le forze dell’ordine dovevano sapere chi dava casa a chi. E se si trattava di vendita, affitto o comodato d’uso. Bisognava tenere sotto controllo l’eventuale spostamento di cellule terroristiche. Anche se poi per individuare via Gradoli sarebbe bastata una seduta spiritica. Poi l’emergenza, come sappiamo, finì ma la legge rimase.
Perché questa lunga parentesi? Perché questo lungo riferimento a questa normativa che oggi potrebbe apparire bislacca e un po’ fuori dai contenuti che la cronaca di oggi ci propone?
Più volte, analisti, magistrati, politici, operatori del settore, hanno scomodato l’inquietante paragone mafia-terrorismo. Paragonando le peculiarità dei due fenomeni, si è cercato di trarre spunto dalle esperienze che portarono alla sconfitta di uno per potere annientare l’altro. Bene, si è detto più volte che lo Stato ha sfoderato le armi più pesanti per porre fine alla stagione delle Brigate Rosse. Anche con leggi come quella anzidetta.
Non si può non sottolineare il fatto che, nella concezione di uno stato democratico, un capillare e minuzioso controllo del movimento degli affitti e vendite delle private abitazioni avrebbe comportato probabilmente un prezzo da pagare troppo alto. Ma un prezzo sicuramente più basso di quello pagato per le attività poste in essere da chi ha potuto godere, e gode tuttora, di riparo in case, ville, appartamenti i cui proprietari possono facilmente ovviare all’obbligo di comunicare chi sta facendo uso dei loro alloggi.
La latitanza dei mafiosi fino agli ultimi anni ha consentito la gestione indisturbata di affari illeciti, di piani di morte, di spartizione del potere. Oggi proporre l’inasprimento di una normativa come quella della cessione dei fabbricati potrebbe apparire anacronistico o esagerato o limitativo di chissà quale libertà del cittadino italiano vessato dalle già innumerevoli leggi e balzelli vari. Chissà quale levata di scudi avrebbe provocato una scelta del genere. I garantisti della prima ora avrebbero parlato di provvedimento scandaloso, di attentato alla libertà personale, etc.
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